Lunàdigas è una storia che riguarda il corpo delle donne, di quelle donne che hanno deciso di non avere figli. È una storia che parte dal corpo stesso di noi due donne ideatrici di questo progetto e che “sebben che siamo donne di figli non ne abbiamo”.

La parola lunàdigas viene dalla lingua sarda ed è usata dai pastori per definire le pecore che in certe stagioni non si riproducono. La abbiamo scelta come titolo del nostro lavoro in mancanza di un termine corrispondente nella lingua italiana, che nomina questa condizione solo attraverso negazioni – senza figli, non madri – e di un termine adeguato anche nella lingua inglese, dove le parole childfree  (liberə dai figli) e childless  (senza figli), seppur specifiche e agender, continuano a definire un’assenza, una mancanza.

Lunàdigas è invece una parola che afferma e conferma, con autoironia, l’esistenza e l’identità di quelle donne che si sentono complete senza essere madri, sfidando stereotipi, luoghi comuni, pressioni familiare, condizionamenti sociali.

L’idea di una ricerca su questo argomento è arrivata all’improvviso, come un’urgenza messa via da troppo tempo.

Ci era parsa subito una certa sfida, in primo luogo con noi stesse donne senza figli in prima persona. Abbiamo subito ragionato su un possibile sviluppo di questo tema e su un trattamento audiovisivo capace di svolgere una matassa tanto delicata e sensibile. Nella vita di una donna, la scelta di non avere figli si inserisce come un capitolo del tutto fuori dall’ordinario.

L’esigenza di metterci subito al lavoro si è scontrata da principio con l’accoglienza piuttosto tiepida da parte delle donne che man mano venivano coinvolte per essere interrogate sul tema. Le nostre certezze hanno vacillato e abbiamo dovuto far passare del tempo per acquisire noi per prime la giusta consapevolezza sulla condizione di donne senza figli. Certamente, la nostra crescita di coscienza intorno alle motivazioni della non maternità ha funzionato e così, poco a poco, nessuna delle donne contattate si è più tirata indietro, ma anzi abbiamo avvertito chiaramente l’esigenza prepotente da parte delle protagoniste di volerne parlare, anche distesamente e pubblicamente. 

La risposta, sincera e vibrante, dunque infine è arrivata, coinvolgendo tantissime testimoni.

Da qui, di volta in volta sono nate le narrazioni in cui le donne si passano il testimone da una postura all’altra, da un corpo all’altro e da un giro d’occhi ad un altro. Le nostre interlocutrici, già conosciute o appena incontrate, hanno cominciato a reagire e rispondere nel modo che avevamo immaginato, con generosità e senza alcuna ritrosia. Ecco le confidenze e le parole sorprendenti e spiazzanti, i temi inaspettati e spesso imprevedibili.

Nel corso del tempo, il “copione” di questo film si è sempre dovuto adattare a continui cambiamenti e a diversi cambi di direzione per via della grande variabilità di casi e situazioni. Uno sviluppo in perpetua e sorprendente metamorfosi.

In principio è stato il webdoc, pubblicato online nel 2015 dopo anni di lavoro.

Il racconto privato partito da ciascuna testimonianza ha assunto una dimensione universale, corale: così, dal webdoc, nel 2016 ha preso vita il lungometraggio in cui entrambe, noi stesse lunàdigas, ci siamo messe in gioco. 

L’esperienza registica di Lunàdigas ci ha accompagnato anche per Annotu. Le donne e gli uomini coinvolti per la raccolta di Annotu, come persone e voci narranti, sono ripresi da soli (salvo una coppia), faccia a faccia con la macchina da presa. Il rapporto è diretto, intimo, confidenziale e spesso riserva sorprese. La location prescelta, per ragioni produttive, non è questa volta la loro casa, ma comunque è sempre stata una ambiente in cui sentirsi al sicuro, accolti. Seduti su una poltrona, in conversazione. Solo in un paio di casi si è posta l’occasione di fare delle riprese all’aperto, in piedi.

Il paesaggio interiore di queste donne e di questi uomini emerge dal loro modo di raccontarsi. Il loro paesaggio fisico è messo in scena con luci usate di taglio per ottenere effetti di contrappunto e contrasto. Questo è un tentativo di rappresentare il dentro e il fuori di ognuna e di ognuno, l’interno e l’esterno. È il lato metaforico di un argomento pieno di chiaroscuri che noi scegliamo, per contrasto, di tratteggiare con luci forti e nette, naturali o artificiali che siano.

Marilisa Piga e Nicoletta Nesler

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