Mario racconta come la sua infanzia, in una famiglia molto numerosa, abbia condizionato la sua esperienza di padre: alla nascita del suo terzogenito ha avuto timore di far rivivere ai figli la sofferenza che aveva provato lui stesso da bambino. Nella sua testimonianza, Mario esprime una posizione di apertura verso le donne che scelgono di non avere figli e rammenta che, per definirle, i genitori usavano l’espressione “piante secche”.

Questa testimonianza è stata raccolta all'interno del progetto "ANNOTU - Lingua sarda come lingua materna" con il contributo della Presidenza del Consiglio regionale della Sardegna (Avviso 2024).

Trascrizione italiano sassarese

MARIO: "No, no aggiu avuddu nisciuna pressione. Eu mi soggu cuiubaddu giovanissimo, abìa ventizincu anni, me muglieri ventunu.
Acchì provengo da una famiglia un bè numerosa. Pinsaddi chi eu soggu lu quintu di dezzi figliori. Quindi no è chi isthazzìa un bè be. Allora ho deciso cu me muglieri di cuiubazzi così giovani, nel ’67, tempi dibessi da abà.
E ho avuto subito dei figli, dopo un anno, parchì mi biazziani un bè li bambini, io ho avuto sempri un beddu rapporto cu li pizzinni, e allora avemmu dezisu di abè un figlioru. È nata una bella femmina. Eu era un bè cuntentu, perché babbu mi dizzia sempri: "in casa di galantommini, primma li femmini e dabboi l’ommini". Quindi era un bè cuntentu.
Dabboi di tre anni è naddu lu masciu, e quindi eu era sisthemaddu: eu e me muglieri no vurìani più figliori. Invece, dabboi di sett’anni me muglieri è rimastha gravidda. Ecco, in chisthu mamentu, soggu rimasthu veramente un poggu, cussì, aggiu pinsaddu, cundiziunaddu, parchì aggiu pinsaddu a la famiria di babbu. Noi erami dezzi figliori…
Dezzi figliori, eu pensa chi soggu naddu i la primma midai di lu novecentu, quindi ti poi immagginà. Quindi babbu era un normale operaio,e quindi pa campà dezzi figliori, parchì dabboi chi soggu naddu eu vi ni so isthaddi althri zincu.
Dunque candu me muglieri è rimastha gravidda di lu terzu figlioru, lì soggu isthaddu veramente cundiziunaddu un poggu. Acchì aggiu pinsaddu, abìa appena trentazincu anni, "no è chi fozzu la fini di babbu?’ D’abè dezzi figliori?". Da ghissu mamentu, effettivamente, soggu isthaddu un bè cundiziunaddu da li figliori, parchì pinsava sempri a candu era pizzinnu, a cantu aggiu sufferthu eu, e no vurìa che me figliori suffriani cussì.
Acchì a li tempi mei, si fazzia colazione lu manzanu a pani e figga o pani e cariga. Parò no vurìa che me figliori, erami negli anni sessanta settanta, chi suffriani cussì. E soggu isthaddu un bè cundiziunaddu… dabboi pa furthuna è andaddu un poggu tuttu bè e mi soggu fimmaddu a tre figliori. Mi soggu fimmaddu. Chiddu era un cundiziunamentu pa la famiria, parò no aggiu avuddu nessun problema.
A Sassari, babbu meu era, oggi abaristhia fattu 120 anni, quindi era di li primmi anni del novecento,e intindìa sempri, sia da babbu che da mamma, chi li femmini chi no pudìani avè figliori li ciamavani "pianta secca".(incomprensibile)
Parò eu no cundannu li femmini chi no hani vuruddu figliori. Acchì oggi avè un figlioru è un beddu prublema. Candu so naddi me figliori, i li primmi anni settanta, settantunu settantadui, li tempi erani un bè dibessi da oggi, erani. S’andava a l’ischora, no si purthava la merendina, no v’era lu "Buondì", no v’era la marmellata, no v’era la Nutella, e quindi magari cu un paninu s’arrangiava.
Abà però li tempi so un bè ciambaddi. Dunca abà abè filgiori è veramente un bel problema. Quindi eu no cundannu li femmini o li famiri chi no volini avè figliori. Acchì devini isciubarà eddi. Parchì eu da pizzinnu aggiu un bè sufferthu, un bè un bè un bè. Quindi candu aggiu avuddu tre figliori era un beddu prublema. Ha dittu ‘ma, debbu fa suffrì a me figliori cumenti aggiu sufferthu eu? Abìa un paggiu di botti pa la dumenica e pa la fatturia. Abìa un pantaloni chi mamma mi fazzia ‘zig zag’ chi parìa una cartha geografica… Allora, inchibi, eu a li femmini no li cundannu. No… no…"

Traduzione in italiano

MARIO: "No, non ho avuto nessuna pressione. Mi sono sposato giovanissimo, avevo venticinque anni e mia moglie ventuno perché provengo da una famiglia molto numerosa. Pensate che sono il quinto di dieci figli. Quindi non è che stavo così bene. Allora ho deciso con mia moglie di sposarci giovani, nel 1967, tempi diversi da oggi.
E ho avuto subito figli, dopo un anno, perché mi piacevano molto i bambini, ho sempre avuto un bel rapporto con i bambini, e allora abbiamo deciso di avere un figlio. È nata una bella femmina. Ero molto contento, perché mio padre mi diceva sempre: “In casa di galantuomini, prima le donne e dopo gli uomini”. Quindi ero molto contento.
Dopo tre anni, è nato il maschio, e quindi ero sistemato: io e mia moglie non volevamo più figli. Invece, dopo sette anni, mia moglie è rimasta incinta. Ecco, in quel momento, mi sono veramente sentito un po’ condizionato, ho pensato alla famiglia di mio padre. Noi eravamo dieci figli…
Dieci figli, pensa che io sono nato nella prima metà del novecento, quindi ti puoi immaginare. Mio padre era un semplice operaio, e doveva campare dieci figli, perché dopo di me ce ne sono stati altri cinque.
Quando mia moglie è rimasta incinta del terzo, in quel momento mi sono sentito condizionato un po’. Perché ho pensato, avevo trentacinque anni, “non è che faccio la fine di babbo? Con dieci figli?”. Da quel momento, effettivamente, mi son sentito condizionato dai figli, perché pensavo sempre a quando ero piccolo, a quanto avevo sofferto, e non volevo che i miei figli soffrissero così, perché ai miei tempi si faceva colazione con pane e fichi o pane e fichi secchi. Però non volevo che i miei figli, eravamo negli anni settanta, non volevo che soffrissero così. Poi, per fortuna, è andato tutto bene e mi sono fermato a tre figli. Non ho avuto nessun problema.
A Sassari, mio padre oggi avrebbe 120 anni, era dei primi del novecento. Sia mio padre che mia madre mi dicevano che le donne che non potevano avere figli le chiamavano “pianta secca”.
Però io non condanno le donne che non hanno voluto figli. Perché oggi avere un figlio è un grosso problema. Quando sono nati i miei, nei primi anni settanta, i tempi erano molto diversi. Si andava a scuola, non si portava la merendina, non c’era il “Buondì”, non c’erano la marmellata e la nutella, un panino bastava.
Adesso è tutto cambiato. Quindi aver figli oggi è veramente un problema. Non condanno le donne o le famiglie che non vogliono averne. Devono scegliere loro. Perché io da piccolo ho sofferto tanto, tanto tanto. E quando ho avuto tre figli è stato un problema. Ho detto, “ma, devo far soffrire loro come ho sofferto io? Che avevo un solo paio di scarpe per tutta la settimana e un paio di pantaloni pieni di toppe che sembravano una carta geografica?” No, non condanno le donne. No… no…"

Traduzione in inglese

MARIO: "No, I didn't feel any pressure. I got married very young, I was 25 and my wife was 21. I come from a very large family. I was the fifth of ten children! So, it was not so easy.
I decided with my wife to marry young, in 1967, those times were different from today. And I had children right away, after a year, because I really liked kids, I've always had a good relationship with children, so we decided to have a child. A beautiful girl was born. I was very happy, because my father always told me: "In the house of gentlemen, first women and then men". So, I was very happy.
After three years, the boy was born, and so I was settled: my wife and I didn't want any other children. Instead, after seven years, my wife got pregnant. In that moment, I really felt a little bit conditioned by the thought of my father's family. We were ten children… ten kids. I was born in the first half of the twentieth century, so you can imagine. My father was a simple worker, and had to feed ten children, because after me there were five more.
When my wife got pregnant with the third one, at that moment I felt concern. Because I thought, I was 35, "Will I end up as my father? With ten children?". From that moment on, actually, I felt concerned for the children, as I always thought when I was little, about what I had suffered, and I didn't want my kids to suffer like that. Because in my day, breakfast was made with bread and figs or dried figs. But I didn't want that for my children, we were in the seventies, I didn't want them to suffer like this. This thought conditioned me. Then, fortunately, everything went well and I stopped at three kids. The burden of the father of the family, but I didn't have any problems.
In Sassari, my father would have been 120 today, it was in the early twentieth century, both my father and my mother told me that women who couldn't having children were called… "dead plant". It was a little… not pretty…
But I do not condemn women who did not want children, because having a child today is a big deal. When my children were born, in the early 70s, it was different. At school, we didn't bring snacks, there was no jam and nutella, a sandwich was enough. Now everything is changed. So, having kids today is really a problem.
I do not condemn women or families who don't want to have them. It's their choice. Because when I was little I suffered so much, so much. And when I had three children it was a bit of a problem. I said, "do I have to make them suffer how I suffered myself? I only had one pair of shoes and for the whole week, and a pair of trousers full of patches that looked like a map?" No, I don't condemn women. No, no…"

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